Dibattito parlamentare – Carceri 2021

In merito al Rapporto di attività della Commissione di sorveglianza delle condizioni di detenzione per il periodo maggio 2020 – maggio 2021
– Rapporto del 7 giugno 2021, relatore: Fabio Schnellmann

ecco il mio intervento in Gran Consiglio nella sessione inizata lunedì 21 giugno 2021

Lo studio recentemente edito dall’Ufficio di statistica ad opera di Daniel Fink sulla “Privaione della libertà e prigione in Ticino e in Svizzera” conclude (p.149): “Ad eccezione degli autori di reati particolarmente gravi, per la maggioranza dei casi la prigione e la reclusione risultano sempre più superate: occorre progredire verso soluzioni alternative.”… Vorrei quindi approfittare della possibilità di intervento in questa sede per portare un esempio che potrebbe essere da modello per il futuro: in un bosco della Norvegia, un centinaio di chilometri a sud di Oslo, si trova una delle prigioni più particolari del mondo. Non ci sono celle né sbarre, e neppure guardie con pistole o manette. C’è un bosco di betulle e pini, e un morbido paesaggio solcato e, tutt’intorno, un alto muro d’acciaio, una delle poche cose che ricordano che qui le persone sono rinchiuse. I residenti della prigione, che si chiama Halden, possono preparare i pasti, con piatti di porcellana e coltelli d’acciaio inox. Halden ha anche una biblioteca, una parete da arrampicata sportiva e un vero studio di registrazione. La musica viene distribuita con l’etichetta della prigione, che si chiama-e non è uno scherzo- “Criminal Records”. Halden è un modello da manuale di quella che si potrebbe definire una “prigione non complementare”: il personale non rispecchia il comportamento dei detenuti, ma porge l’altra guancia. Anche ai criminali più incalliti. C’è una cella di isolamento, ma ancora non è mai stata usata. Le guardie non sono armate. O, come spiega una di loro: “Parliamo con i ragazzi, quella è la nostra arma”. Se state pensando che sia una delle prigioni più morbide della Norvegia, sappiate che non è così, perché Halden è un carcere di massima sicurezza. Con circa 250 tra spacciatori, delinquenti sessuali e assassini, è la seconda prigione più grande della Norvegia. Non molto distante da Halden si trova l’isola di Bastøy, dove 115 criminali pericolosi scontano gli ultimi anni di prigione. A Bastøy è quasi impossibile distinguere il personale dai detenuti, perché le guardie non indossano l’uniforme. Mangiano tutti allo stesso tavolo. Sull’isola si possono fare molte cose. Ci sono un cinema, un solarium e due piste da sci. Alcuni detenuti hanno fondato la Bastøy Blues Band. Bastøy potrà anche avere l’aria di un resort di lusso, ma è solo l’apparenza. I detenuti devono lavorare sodo per mandare avanti la loro comunità. Arano e seminano, raccolgono e cucinano, spaccano legna. Tutto viene riciclato e un quarto del cibo è autoprodotto. Alcuni detenuti fanno addirittura su e giù con la terraferma, dove vanno a svolgere il loro lavoro. E per lavorare hanno a disposizione coltelli, martelli e altre potenziali armi. Se c’è da abbattere un albero, possono usare la motosega. E questo vale anche per un uomo condannato per un omicidio commesso proprio con una motosega. I norvegesi sono forse impazziti? Quanto bisogna essere ingenui per radunare vagonate di assassini su un’isola da vacanze? Per il personale di Bastøy è la cosa più normale del mondo. Le guardie di tutte le prigioni norvegesi, che per il 40 per cento sono donne, hanno seguito un percorso formativo di due anni, dove hanno imparato che è meglio essere amici dei detenuti piuttosto che trattarli con degnazione: la chiamano “sorveglianza dinamica”, per distinguerla dal più antiquato “controllo statico” con muri, telecamere e sbarre. Nelle prigioni norvegesi, quello che interessa è prevenire non azioni cattive, ma cattive intenzioni. Le guardie considerano proprio dovere preparare nel modo migliore i detenuti al “dopo”, secondo quello che si definisce “principio di normalità”: la vita dentro deve somigliare il più possibile alla vita fuori. E, a quanto pare, funziona: Halden e Bastøy sono comunità pacifiche. Quando capita che nasca un conflitto, i responsabili vengono fatti incontrare per una bella chiacchierata; possono uscire dalla stanza solo dopo essersi stretti la mano. “È davvero molto semplice,” spiega il direttore di Bastøy, Tom Eberhardt: “Tratta le persone come delinquenti, e saranno dei delinquenti. Trattale come esseri umani, e si comporteranno come esseri umani.”. Quasi tutti i detenuti tornano in libertà, più del 90 per cento entro un anno, e a quel punto diventano il vicino o la vicina di casa di qualcuno. “Ogni anno rilasciamo dei vicini di casa,” afferma questo direttore, “vuoi forse che rilasci delle bombe a orologeria?”. Il tasso di recidiva si riduce di quasi la metà rispetto a una condanna a lavori di pubblica utilità a sanzioni in denaro. Inoltre, la possibilità che un ex detenuto trovi un lavoro aumenta del 40 per cento. In altre parole: dopo un soggiorno in una prigione norvegese, molte persone cambiano radicalmente strada. Non a caso la Norvegia ha il tasso di recidiva più basso del mondo. Il sistema carcerario americano, al contrario, ne ha uno dei più alti. Negli Stati Uniti, dopo due anni è di nuovo dietro le sbarre il 60 per cento dei detenuti, in Norvegia il 20 per cento.7 Con un tasso di recidiva di appena il 16 per cento, Bastøy è la prigione migliore d’Europa, se non di tutto il mondo. Ma il metodo norvegese non sarà troppo costoso? Un soggiorno in una prigione norvegese costa quasi il doppio, ad esempio, che negli Stati Uniti. A fronte di ciò, il sistema carcerario norvegese genera un risparmio notevole, perché gli ex detenuti commettono meno reati. Un ulteriore risparmio deriva dal fatto che più persone trovano un lavoro, riducendo la necessità di sussidi e incrementando le entrate fiscali. Inoltre, ci sono meno vittime, e questo è un dato che non si può esprimere in denaro. Dunque, anche considerandola da un’ottica conservatrice, una condanna scontata in un carcere norvegese si ripaga di più del doppio.

Approvando il Rapporto, penso che potremmo riflettere per un futuro che cambia, anche a livello carcerario.